lunedì 25 ottobre 2010

La morale di Henry

Linda
Alle otto e trentadue mise la firma sull’ultimo documento. Con la coda dell’occhio aveva guardato l’orologio dell’ufficio consapevole dell’ora straordinaria. Era esausta. La testa era già al pensiero di mettersi sotto la doccia una volta a casa. Quel lavoro le piaceva ma odiava quando era costretta a fare quegli orari. Le scarpe nuove le stringevano un poco i piedi e il tailleur a quell’ora era diventato più che un uniforme da lavoro un peso per la libertà dei movimenti.
Si alzò dalla sedia, infilò il cappotto Stella McCartney, prese la Balenciaga, spense la luce e si diresse verso l’ascensore.

Henry
Noia. L’unica parola che poteva descrivere il lavoro di Henry. Il suo compito era quello di catalogare ed archiviare documenti. All’inizio gli era sembrato un lavoro cucitogli addosso, maniaco com’era dell’ordine. Col tempo, col mancare di novità, tutto ciò era divenuto particolarmente tedioso.

Hermann
Tirò la porta davanti a se.

Henry
Quando faceva quegli orari si odiava ma c’era ancora una montagna di documenti da archiviare. Erano però le otto e quarantacinque. Si convinse che era meglio andarsene a casa.

Linda
Arrivata al piano terra imboccò le scale che l’avrebbero portata al parcheggio. Detestava quelle scale perché le signore delle pulizie non le pulivano, mai. Col tempo s’era accumulata una polvere inattaccabile. La cose peggiore per le sue nuove Jimmy Choo. Aprì la porta a maniglione del parcheggio sotterraneo e l’aria fredda le colpì il viso. Hermann la stava aspettando.

Hermann
Chiusasi la porta Hermann vide la figura di Linda per intero. Bellissima, racchiusa in quel cappotto che le riproduceva appieno tutte le sue forme. Hermann era al settimo cielo. Raggiunse Linda da dietro, le circondò il collo con un braccio.

Linda
Il braccio arrivò all’improvviso. Inaspettato. Le tappò la bocca. Forte. La mano sapeva un odore conosciuto, sembrava gasolio. Un lampo. Non capiva nulla, non capiva. Un furto? Che cazzo era? La sua testa fu spinta attorno la spalla del tizio, forte, troppo forte. Non riusciva a divincolarsi. Che cazzo era? Il tizio la trascinò sulle scale, su quelle sporche scale. La voltò buttandola sugli scalini. Finalmente lo vide in viso. Era brutto. E aveva capito cosa voleva da lei. Cominciò a divincolarsi con tutta la forza che avesse mai avuto. Tutta. Ma il tizio era terribilmente forte. E Linda arrivò alla fine, a quel punto, dopo uno sforzo incredibile, in cui la forza ti manca completamente. Si divincolava ancora quando il tizio le aprì a forza le gambe, le strappò i bottoni del suo cappotto Stella McCartney che rimbalzarono sugli scalini. Rimase colpita dal far caso a quel rumore di bottoni sugli scalini. La camicia si aprì senza resistenza sotto quelle mani fatte da gasolio. Il reggiseno era un appendice inutile. Sentì la mano fredda strizzarle violentemente il seno. Senza grazia. Senza nessuna grazia. Cominciò a piangere. Non riusciva a fare più nient’altro. Non poteva sentirla nessuno lì sotto. Il tizio aveva già tutto pronto, si era già sbottonato la patta. Sollevò la gonna che dalla foga si strappò. Senza grazia. Le mutandine. Un’altra inutile appendice. Le tirò di lato, senza grazia. Il pizzo si estese ma resistette allo sforzo. Il sesso di Linda era lì. Linda urlò, sapeva che il dunque era arrivato. Urlò, urlò piangendo. Il tizio la schiaffeggiò. Una volta, due volte, tre volte. Fintantoché non smise di urlare. Il tizio non diceva niente, non apriva bocca. Parlavano gli occhi. Troppo eccitati. Senza grazia. Il tizio le infilò due dita dentro il sesso. Come un buco pensò Linda, un normalissimo buco. Le tirava fuori e le rimetteva. Ripetutamente. Quelle dita unte di gasolio dentro il sesso di Linda, la sua parte più intima, mentre con l’altra mano continuava a strizzarle i seni. Senza grazia. A un tratto tolse le dita e con le due mani allargò per bene il sesso, per poterlo vedere bene. La sua carne più intima su quegli scalini così sporchi, sotto le mani unte di quel tizio. Col corpo libero Linda fece per alzarsi ma il tizio la prese per il collo con una mano e la spinse a terra mentre con l’altra diresse il suo cazzo verso di lei. Lo infilò e cominciò a muoversi dentro di lei. Linda non ci credeva, non poteva essere vero. Non poteva. Il corpo del tizio si muoveva dentro di lei. Una mano le fermava il collo, l’altra le strizzava i seni fino a ridurli ad un inutile pezzo di carne. Senza grazia. Faceva male dentro di lei. Il tizio spingeva sempre più forte, sempre di più. Forte, forte. I movimenti la costringevano contro gli scalini. Il freddo del cemento. La polvere. Lo sporco. Le lacrime. Il tizio era un inferno sopra di lei che spingeva, spingeva. Poi si fermò di colpo.

Henry
Henry chiuse la porta dell’ufficio a chiave e si incamminò verso il parcheggio. Decise che quella sera avrebbe finito il lavoro a casa. Controllò nella borsa del notebook se c’era tutto e chiamò l’ascensore. Al piano terra si diresse verso la porta quando sentì delle urla. “Cazzo è?” pensò. Le urla erano vicine, venivano dal parcheggio. Urla di donna. Di chi mai potevano essere? Ma, soprattutto, perché? Era lì, con la mano sopra il maniglione e la borsa in spalla. Secondi interminabili. E quella era l’unica via d’uscita. Secondi interminabili. Che fare? Henry aprì una fessura. La luce illuminava la tromba delle scale. Non capiva, non riusciva a capire chi urlasse. Poi, con la coda dell’occhio vide. Un tizio sopra una donna. La donna con le gambe aperte. “Che cazzo è?” pensò. Uno stupro. Uno stupro. Che fare? Henry, Henry, una vita passata a catalogare documenti e adesso ti trovi davanti ad uno stupro. Se tu fossi andato via prima Henry, pensò. Tutto questo in pochi, interminabili secondi.

Hermann
Era il paradiso e lui il diavolo. Non poteva dare un’interpretazione migliore il buon vecchio Hermann di sé stesso. Le sue mani avevano il potere. Il suo cazzo il dominio. Lui era il re. Spingeva dentro il corpo di quella donna che nemmeno sapeva chi fosse. Però era carina. Aveva i capelli neri, un viso pulito. Poteva essere sui trentacinque pensò mentre le infilava il cazzo sempre più forte. Sotto la sua mano il seno si contorceva e prendeva le pieghe del suo palmo. Sorrise pensando che poteva essere come uno scacciapensieri che stringi e, una volta lasciato, riprende la forma naturale. Sentiva che anche la tipa si stava eccitando, la sentiva bagnarsi. L’odore del sesso sulle sue dita lo eccitavano ancora di più. In fondo era convinto che anche la tipa stesse godendo. In fondo era sempre stato un bravo amante. Sentiva che stava per arrivare. Lo sperma stava risalendo il suo naturale percorso. Tutto ciò era naturale pensò Hermann. Poi si bloccò. Una corda, un laccio, non capiva cosa, gli strinse il collo. Era come un tessuto piatto molto resistente. Sembrava una cintura di sicurezza. Però faceva male. E non mollava. Pochi secondi per capire che una terza persona era venuta a dargli noia. Però non riusciva a togliersi quel laccio dal collo.

Henry
Staccò la tracolla dalla borsa del notebook. Forse la ragione si spense. Prevalse la morale. La morale di Henry. Strinse la tracolla attorno al collo del tizio e cominciò a far forza. Sentiva i bicipiti indurirsi e più si indurivano più lui faceva forza. Pensava quasi potessero scoppiare. Guardò gli occhi della donna. Non dicevano niente. Forse la ragione si spense. Prevalse la morale. La morale di Henry alla vista di quegli occhi che non dicevano nulla prevalse decisamente. Tirò fuori anche la forza che non aveva. Quella che gli mancava per deformare irreversibilmente la trachea del tizio che tremò e, poi, smise di divincolarsi.

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